Dalla fattoria lontana molte miglia il figliuolo è venuto a piedi, a trovare sua madre.
Nell’atrio ha chiesto notizie di lei al medico e ha bevuto le poche, le solite parole con un largo viso faticosamente attento, spiando a tratti, d’intorno, ogni porta, se la vedeva apparire. Dopo un lungo attendere in parlatorio, il cappello fra le gambe, la madre è comparsa, trascinata per un braccio da una suora.
– Mamma! o mamma! –
Non ha detto altro, non poteva dir altro.
Le sue grosse mani gonfie hanno afferrato quelle bianche della vecchia, alta, pallida, assente. I due due volti sono rimasti di fronte, senza toccarsi: quello di lui arso dal sole, quello di lei sbiancato senz’anima.
Soltanto le mani hanno continuato un loro oscuro, tormentuoso linguaggio. Pareva che la vecchia avesse serbato nel tatto qualche traccia di vita perché le sue dita scarne cercavano, tentavano qualcosa, come quelle dei ciechi. Ma gli occhi erano via.
– Mamma, o mamma, non mi riconosci? –
La vecchia ride, con un filo di voce:
– Chi?
– Nanni, il tuo figliolo. Mi vedi?
– e già… –
Un lampo di gioia illumina la povera faccia abbronzata. Le mani si staccano da quelle della vecchia e fruga nelle tasche del grosso abito nero da festa impolverato.
– Prendi, mamma. –
Ne ha tolto un piccolo cartoccio: due paste, due sole paste, ma fini.
Una è marzapane tutta inzuccherata, l’altra è di cioccolata con qualche piccolo candito.
– E’ inutile, sa – insinua dolcemente la suora. – Non vuol mangiare; da due mesi bisogna imboccarla.
– O perché, mamma, non mangi – chiede la rude voce strozzata. – Ti fa male digiunare… Prendi questi due gingilli, sono buoni, sai, li ho presi in città. Su, mangiali! –
La vecchia ha lasciato cadere le mani in grembo e guarda il soffitto. Quando sente il contatto , soffice, del marzapane, stringe la pasta, leggermente, ma non la spezza.
– Perché non mi porti via? – chiede con voce eguale al figliolo, senza guardarlo.
– Ti porterò, non dubitare, quando sarai guarita, quando il medico avrà pronte le carte. Mangia, ora, mangia. –
La vecchia rompe adagio adagio la pasta e rimane con i due frammenti nelle mani.
Ne accosta uno alle labbra asciutte e bianche: lo zucchero le piace; è tenera e dolce: comincia a masticare.
Il figliolo la guarda senza fiato.
Dopo il primo boccone il secondo, dopo il secondo il terzo.
La vecchia mastica lentissimamente volgendosi alla finestra del cortile donde giunge un molle suono d’armonium. E il figlio in quell’onda si smemora, perduto i quel viso perduto.
di CORRADO TUMIATI
Tratto da “IMMAGINI” antologia italiana per la scuola media.
Rielaborazione grafica di Lucia Giordano