Il giardino del Signor Swann

Di Marcel Proust

cielo nuvoloso
foto presa dal web

Le Blanc (mon jardin) Edouard Manet

La siepe lasciava vedere, nell’interno del parco, un viale fiancheggiato di gelsomini, di  viole del pensiero e di verbene, tra le quali dei garofani […] che avevano la tinta rosa olezzante e sbiadita d’un cuoio antico di Cordova. […]
D’un tratto mi fermai, senza potermi più muovere, come accade quando una visione non si rivolge solo al nostro sguardo, ma esige percezioni più profonde e dispone per intero del nostro essere intero.

Una ragazzina d’un biondo fulvo, che aveva l’aria di rientrare dal passeggio e teneva in mano una zappa da giardiniere, ci guardava, levando il suo viso cosparso di macchioline rosee. I suoi occhi neri brillavano.—- Per molto tempo, ogni volta che ripensavo a lei, il ricordo del loro splendore mi si presentava subito come una luce di vivo azzurro.

La guardavo, dapprima con quello sguardo che non è che la voce degli occhi, ma alla finestra del quale s’affacciavano tutti i sensi, ansiosi e stupefatti; lo sguardo che vorrebbe toccare, catturare, portare via con sé il corpo guardato e l’anima insieme; poi, tale era il mio timore che da un minuto all’altro il nonno e il babbo, scorgendo quella fanciulla, mi facessero allontanare dicendomi di correre un poco innanzi a loro, che cercavo di costringerla a portare l’attenzione su di me, a conoscermi!

Ella gettò davanti a sé e ai lati le pupille per prendere visione del nonno e del babbo, e senza dubbio l’idea che ne riportò fu che eravamo ridicoli, giacché si volse, e con un’aria indifferente e sdegnosa si fece da parte, per risparmiare al suo viso d’essere nel loro campo visuale; e mentr’essi, continuando a camminare senz’averla venduta, mi sorpassavano, lasciò scorrere lo sguardo in tutta la sua lunghezza fino a me, senza un’espressione particolare, senza mostrar di vedermi, ma con una fissità e un sorriso dissimulato, che, dalle nozioni che mi erano state impartite sulla buona educazione, non potevo interpretare se non come una prova di ingiurioso disprezzo; la sua mano al tempo stesso accennavo un gesto indecente che, quando era rivolto in pubblico a una persona che non si conoscesse, il piccolo dizionario di urbanità che portavo in me non dava che un solo senso, quello d’un’intenzione insolente.

– Su, Gilberte, vieni; cosa fai?- gridò con voce acuta ed autoritaria una signora vestita di bianco che non avevo  vista, mentre a breve distanza da lei, un signore a me sconosciuto, vestito di tela, mi fissava con degli occhi che gli uscivano dal capo; e, cessando bruscamente di sorridere, la fanciulla prese la zappa e s’allontanò senza più volgersi dalla mia parte, con un’aria docile, impenetrabile e sorniona.

Così passò accanto a me quel nome di Gilberte, donatomi come un talismano che mi permetterebbe forse un giorno di ritrovare quella di cui or ora aveva fatto una persona, e che, l’attimo prima non era che un’immagine incerta.

Così passò, proferito al di sopra dei gelsomini e delle viole, fresco ed acidulo come le stille dell’innaffiatoio verde; impregnando, iridando la zona d’aria pura che aveva percorso –e che isolava,–del mistero dell’esistenza di quella ch’esso disegnava agli esseri fortunati che vivevano, che viaggiavano con lei; spiegando sotto il cespuglio del biancospino rosa, all’altezza della mia spalla, la quintessenza della loro familiarità, per me così dolorosa, con lei, con l’ignoto della sua esistenza dov’io non sarei penetrato.

Per un attimo… l’impressione  lasciata in me dal tono dispotico in cui la madre di Gilberte le aveva parlato senza che lei replicasse, mostrandomela come costretta ad obbedire a qualcuno, facendomi apparire incompleta la sua superiorità, calmò un poco la mia sofferenza, mi rese qualche speranza o scemò il mio amore.

Ma quell’amore non tardò a levarsi di nuovo in me come una reazione per cui il mio cuore umiliato si voleva adeguare a Gilberte, o abbassarla fino a sè. L’amavo e rimpiangevo di non aver avuto il tempo è l’ispirazione di offenderla, di farle del male e costringerla a ricordarmi.

autore Marcel Proust
da LA STRADA DI SWANN
Einaudi Editore

35 pensieri riguardo “Il giardino del Signor Swann

  1. È un testo perfetto, dove tutto del paesaggio e di ogni sentimento viene analizzato e in cui ci si ritrova e non a caso è firmato Proust. Altrettanto non a caso Proust è anche famoso per non essere una lettura da metropolitana 🙂
    (Stai facendo una bella selezione antologica, e di classici… complimenti, ottima idea 🙂 )

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  2. veramente pregevole è questo pezzo tratto da un famoso romanzo di Proust. Sensazioni, immagini e colori il tutto miscelati con sapienza. Il libro è lì sullo scaffale dei libri da leggere. Credo che lo leggerò presto.

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  3. Ecco, ho approfittato di questa quarantena per “rileggere Proust”: sembra una cosa molto snob, ma lo avevo letto da ragazza, negli anni ’80, e ora lo sto rileggendo, visto che ho tutto il tempo… e devo dire che mi piace forse ancora più della prima volta!

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  4. Sì, Proust è molto minuzioso, pedante, prolisso, ci mette 120 pagine per raccontare un ricevimento… ma è meraviglioso, ti avvolge con le sue parole, le sue riflessioni, dà vita a personaggi indimenticabili…

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  5. Bonsoir ou Bonjour

    Rêve à des jours meilleurs , cela fait partie de notre vie

    Sourie , en pensant au bonheur

    Vie ces instants en écoutant parler ton cœur

    Ton ennuie s’effacera

    Ta vie reprendra des couleurs

    Dis toi que l’espoir ressemble à un fruit

    Si ce fruit est vert il n’a pas de saveur

    Ce fruit sera délicieux s’ il est mure , savoure le sur l’heure

    le Bonheur est à ce prix , pense à ces instants magiques

    Bonne journée ou soirée

    Bisous en toute Amitié

    Bernard

    Un petit bouquet de muguet qu’ il t’apporte bonheur au sein de ta demeure et partage le avec les tiens à l approche du 1 Mai

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