Il posto delle fragole

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Rielaborazione grafica di Lucia Giordano

 

di INGMAR BERGMAN

All’età di settantasei anni, mi sento troppo vecchio per mentire a me stesso. Ma naturalmente non posso essere troppo sicuro. Quest’atteggiamento compiaciuto circa la mia sincerità potrebb’essere insincerità dissimulata, anche se non sappia esattamente che cosa potrei nascondere. Comunque, se per qualche ragione dovessi dare un giudizio su me stesso, sono certo che lo farei senza imbarazzo né scrupoli per la mia reputazione. Ma se mi si chiedesse di esprimere un’opinione sarei molto più cauto. E’ assai pericoloso esprimere tali giudizi: con grande facilità ci si può rendere colpevoli di errori, di esagerazioni, perfino di tremende falstà. Piuttosto che correre questi rischi, preferisco tacere.
Come risultato, di mia libera volontà, ho finito per ritirarmi quasi del tutto dalla società, poiché i nostri rapporti con gli altri consistono più che altro nel discutere e giudicare la condotta di coloro che ci circondano. Perciò, in vecchiaia, mi ritrovo piuttosto solo. Questa non è una lamentela ma la constatazione di un fatto. Tutto quello che chiedo alla vita è di essere lasciato in pace e di avere la possibilità di dedicarmi alle poche cose che continuano a interessarmi, per quanto superficiali possano essere.
[…] Questo è tutto ciò che ho da dire su me stesso. Forse dovrei aggiungere che sono un vecchio pedante, e a volte assai noioso, sia per me stesso che per la gente che deve starmi attorno.

[…] Più avanti tornerò sulla ragione che mi spinge a scrivere questa storia, che vuol essere, per quanto ne sarò capace, un fedele resoconto degli avvenimenti, dei sogni e dei pensieri che mi occorsero un certo giorno.

Verso l’alba di sabato I° giugno, feci un sogno strano essai spiacevole. Sognai che stavo compiendo la mia solita passeggiata mattutina per le vie della città. Era molto presto, e nessun essere umano era in vista. La cosa mi sorprese alquanto. Notai inoltre che non v’era alcun veicolo parcheggiato lungo i marciapiedi. La città appariva stranamente deserta, come fosse un mattino di vacanza in piena estate. Il sole splendeva con violenza, faceva ombre mere nette ma non mancava alcun calore. Pur camminando nella parte assolata, sentivo freddo.

[…] Cominciai a domandarmi che cosa fosse accaduto.
In quel momento passai dinanzi a un negozio i ottico-orologiaio che ha per insegna un grosso orologio che dà l’ora esatta. Sotto quest’orologio è appeso un cartello con un paio di giganteschi occhiali, con due occhi fissi. Nelle mie passeggiate mattutine avevo sempre sorriso, tra me, di questo particolare leggermente grottesco del paesaggio stradale.
Con mio stupore, le lancette dell’orologio erano scomparse. Il quadrante era vuoto, e sotto di esso qualcuno aveva schiacciato quei due occhi, talchè apparivano ora come due piaghe acquose, putrefatte.
Istintivamente, tirai fuori io mio orologio per controllare l’ora, ma mi avvidi che la mia vecchia e fedele cipolla aveva anch’essa perdute le lancette. Me la portai all’orecchio per sentire se continuava a camminare. Allora sentii il battito del mio cuore. Batteva molto in fretta e in modo irregolare. Mi sentii sopraffatto da un inspiegabile senso di smarrimento.
Rimisi in tasca l’orologio, e mi appoggiai per un poco al muro in attesa che l’agitazione mi passasse. Il cuore mi si calmò e decisi di far ritorno a casa.
Con mia gioia, vidi un tale ritto sull’angolo della strada. Corsi verso di lui, e gli toccai l braccio. Egli si volse di colpo, e con orrore scopersi che sotto il cappello di feltro morbido l’uomo non aveva volto.
Ritirai la mano, e nelle stesso momento l’intera figura crollò come fosse fatta di polvere o di trucioli. Sul marciapiede rimase un mucchio di panni La persona era scomparsa senza alcuna traccia.
Mi guardai attorno smarrito e i resi conto che avevo perduto a strada. Ero in una parte della città che mi era sconosciuta. Mi trovavo in un piazzale circondato da alti e brutti casamenti. Da questo  angusto piazzale si dipartivano strade in tutte le direzioni. Ma erano tutte morte, non si vedeva anima viva.
[…] Finalmente Trovai la forza di riprendere il cammino, e scelsi a casaccio una di quelle viuzze. Camminavo in fretta quanto me lo permetteva il mio cuore in tumulto, pure la strada sembrava senza fine.
Poi udii un suono di campane, e d’un tratto mi ritrovai in un’altra piazza, presso una brutta chiesuola in mattoni rossi circondata da ogni parte da grigi edifici.
Non lontano dalla chiesa, un corteo funebre si stava snodando lentamente per le strade, in testa veniva un vecchio carro mortuario, dietro il quale avanzavano alcune antiquate carrozze da nolo tirate da pariglie di ossuti ronzini che si piegavano sotto il peso di enormi gualdrappe nere.
Mi fermai e mi tolsi il cappello. Provavo un immenso sollievo al vedere delle creature viventi, all’udire il calpestio dei cavalli e le campane della chiesa.
Poi tutto avvenne molto rapidamente, e in modo così spaventevole che anche ora, mentre lo scrivo, me provo un vivo disagio. Il casso funebre stava proprio per voltare dinanzi al portale della chiesa, quando d’un tratto cominciò a ondeggiare e a beccheggiare come una nave in mezzo alla tempesta. Vidi che una ruota si era staccata e stava rotolando verso di me con gran fracasso. Dovetti buttarmi da un lato per evitare d’esserne colpito. Cozzò contro il muro della chiesa proprio dietro di me, fracassandosi.
Le altre carrozze si fermarono  a una certa distanza, ma nessuno ne scese per portare aiuto. Il grosso carro mortuario ondeggiava e traballava sulle sue tre ruote. D’un tratto la bara scivolò fuori e cadde in mezzo alla strada. Come liberato, il carro si raddrizzò, i cavalli indietreggiarono, e il convoglio imboccò una strada laterale seguito dalle altre carrozze.
Le campane della chiesa avevano cessa di suonare; ero rimasto solo con la bara rovesciata e in parte sfondata. Spinto da una trepida curiosità, mi avvicinai. Fuori dalle tavole spezzate sporgeva una mano. Quando mi chinai, la mano morta mi afferrò per un braccio e mi tirò giù verso la bara con una forza enorme. Cercai di resistere, lottando disperatamente mentre il cadavere si alzava lentamente dalla bara. Era un uomo in abito da cerimonia.
Con orrore constatai che il cadavere ero io stesso. Cercai di liberarmi, ma mi teneva afferrato per un braccio con gran forza. Per tutto questo tempo mi guardava senza emozione e sembrava sorridere beffardo.
In questo momento di orrore insensato, mi svegliai e mi alzai a sedere sul letto. Erano le tre del mattino, e il sole già si rifletteva sui tetti di fronte alla mia finestra. Chiusi gli occhi, e mormorai parole, parole reali da contrapporre a quel sogno – a tutti in sogni penosi e spaventevoli che hanno ossessionato in questi ultimi anni.

 

di INGMAR BERGMAN

Tratto da antologia “DIORAMA” 

30 pensieri riguardo “Il posto delle fragole

  1. E’ uno dei capolavori di Bergman. Il protagonista Viktor Sjostrom, credo si chiamasse e spero di averlo scritto bene, a sua volta fu da regista protagonista della stagione del cinema muto svedese anni ’20: di lui ho visto un film bellissimo, dal titolo Il carretto Fantasma. Tornando a Bergman, qui c’è tutta la volubilità del tempo e del come trasforma le persone, delle occasioni perse e mai più ritrovate. E il tempo, privo di lancette, si assottiglia sempre più. Grazie, ottima proposta

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  2. Il tema della perdita dello spazio dopo avere perso il tempo è molto kafkiano (Gib’s auf!), e anche molto realistico. Bel pezzo, in ogni caso.
    PS: ok, il titolo è quello del film, ma qual è il suo significato?

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  3. Non sono brava ad interpretare i sogni…..questo è veramente poco piacevole ma denso di significati . Ognuno potrebbe dare la propria interpretazione. Ciao Lucia.

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