Osteria

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Seduta sulla spiaggia mentre leggo un libro, sento vicino a me due signore che si scambiano delle confidenze.

Una delle due, lì di passaggio perché in attesa del taxi, comincia a raccontare:

”Avevo un marito alcolizzato che con il tempo è impazzito.

La storia ha avuto inizio per colpa della mia famiglia che mi voleva sposata al più presto.

Mi canzonavano in continuazione dicendo: ”tutti ti vogliono ma nessuno ti prende e qui il pane consuma…”

Quando incontrai Alberto e lo presentai ai parenti mi dissero di non illudermi, perché un ragazzo di buona famiglia come lui non avrebbe di certo sposato una come me di umile provenienza.

Alla fine ci sposammo, anche se non l’amavo, ma ero felice di sentirmi chiamare ”Signora”.

Mio marito era buono, gentile e premuroso, ma cambiava repentinamente umore come un fulmine a ciel sereno.

Non gli davo importanza perché avevo imparato a volergli bene, ma mi domandavo perché, ogni volta che mi sentivo felice e soddisfatta del mio lavoro e cercavo di renderlo partecipe delle mie gioie, diventava scostante, infastidito, quasi scontroso.

Il mio lavoro si svolgeva in casa: cucivo e rammendavo i capi strappati dei clienti, perché a quei tempi gli abiti rovinati non si buttavano.

Avevo imparato l’arte del rammendo, un’attività che si può definire artistica in quanto consisteva nel ripristinare il tessuto rendendolo quasi nuovo.

Quando andava in montagna Alberto raccoglieva per me gli spinaci selvatici, i mirtilli, i lamponi, i funghi e la lavanda.

Se non beveva era buono e generoso.

Doveva però evitare l’osteria del paese: se ci passava davanti, il demone dell’alcool era in agguato ad aspettarlo.

Non davo importanza al vociare che circolava in paese per il troppo tempo che mio marito passava in quel locale; sembrava stesse diventando una seconda casa per lui.

Quando all’ora dei pasti era in ritardo e rientrava traballando, con borbottii, voce alterata, occhi cattivi e pupille infuocate, io fingevo indifferenza.

Se era tardi non gli andavo incontro, perché temevo la sua reazione e col buio avevo paura di cadere nell’aiutarlo a reggersi in piedi.

Una sera, in ansia da ore, un amico bussò con insistenza alla porta e mi disse: ”Non parlare e scappa via di corsa da qui, non farti vedere”. Quando mio marito rientrò, notai che teneva un fazzoletto sulla bocca, non parlai, seguii il consiglio che mi era stato dato, ma il giorno seguente venni a sapere che in una lite gli avevano spaccato due denti.

Mi rifiutavo di credere che all’osteria potesse bere così tanto da ridursi in quel modo, perché in casa, nonostante ci fosse una cantina ben rifornita, non consumava alcolici.

Non uscivo volentieri con lui perché mi umiliava.

Un giorno eravamo in piazza per osservare un’eclisse, c’era molta gente che conoscevamo, mi permisi di contraddirlo e come risposta tentò di darmi un forte schiaffo. Solo la mano di un amico lo bloccò in tempo.

Ad una signora che si complimentò con lui del mio lavoro disse: ”Se potessi la schiaccerei sotto i piedi e darei fuoco al suo cucito”.

Una sera la cena era pronta sul tavolo, ma lui era talmente ubriaco da non riuscire a salire i tre gradini che portavano alla cucina. Urlava chiedendomi di scendere ad aiutarlo, perché i fantasmi di cui vedeva le ombre lo facevano rotolare ogni volta che tentava di salire.

Le sue imprecazioni erano sentite anche dai vicini, che ormai erano a conoscenza delle sue allucinazioni: la lotta contro i gradini e i fantasmi durò finché un vicino non mi venne in aiuto.

L’alcool lo stava facendo impazzire.

Ricordo ancora quel giorno in cui alle prime ore dell’alba, non vedendolo rientrare, decisi di andare a cercarlo, ormai l’osteria era chiusa da ore. Lo trovai sulla soglia di una casa con un signore che lo sorreggeva. Lo riportai a casa, ma per fare i pochi metri che ci separavano dalla nostra abitazione impiegammo molte ore. Parlava in lingue sconosciute, faceva tre passi avanti e quattro indietro, abbracciava tutte le piante che trovava sul suo cammino per poi prenderle a calci.

Grazie ai vari cespugli a cui si aggrappò per tenersi in piedi ed al mio aiuto, arrivammo finalmente a casa, ma si addormentò sui gradini. Che imbarazzo!

La goccia che fece traboccare il vaso fu quando dovetti assentarmi per quarantotto ore per motivi personali. I compagni dell’osteria, in parte scrocconi, si accamparono da noi dandosi il cambio.

In cantina c’erano provviste di ogni tipo.

Al mio rientro lo trovai irriconoscibile, telefonai immediatamente al nostro dottore per un consiglio, mentre gli ”amici scrocconi” in un attimo scomparvero.

Rimasta sola con lui riuscii a farlo distendere sul letto e, nell’attesa che si addormentasse, mi allungai sul divano con le orecchie ben tese.

Ad un certo punto sentii borbottare: ”La uccido!” Mi voltai, era quasi vicino a me, camminava a gattoni. Feci un balzo e chiamai subito l’autoambulanza, ormai non c’era più niente da fare: era impazzito!

Al suono delle sirene, in piena notte, le finestre del vicinato si spalancarono e quando videro che si trattava di Alberto corsero in strada per salutarlo.

Passò mesi in ospedale tra reparti psichiatrici ma non solo, perché oltre al cervello malato aveva anche una pancia enorme sempre più gonfia. Io lo assistevo con cura, mi faceva molta pena, dopotutto gli volevo bene, ero anche consapevole di avere davanti una persona ”malata” che diceva di non ricordare nulla.

Dopo un soggiorno di lunga degenza scomparve, lo trovarono nei giorni seguenti lungo una scarpata…a casa non tornò più!”.

Il discorso delle signore si interrompe perché arriva il taxi, le due si salutano.

La mia vicina mi osserva per vedere la mia reazione dopo aver ascoltato quella storia, ma io fingo di non aver sentito nulla e continuo a leggere il mio libro…

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  • foto scaricate dal web:
  • rif. Portale Piacenza solidale quaderno n. 2 ”A l’ustaria”
  • rif. scorcio di spiaggia con figure olio su tela 40×30 ”Pirone casa d’aste”

66 pensieri riguardo “Osteria

  1. Io, purtroppo, so bene cosa vuol dire vivere insieme ad una persona alcoolizzata. Però, per fortuna, siamo riusciti a tirarla fuori.

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  2. Mi si è raggelato il sangue. Impazzire per l’alcol fino a fare del male alle persone che circondano. Ma ancor di più mi ha colpito la storia della signora, “costretta” a sposarsi perché consumava il pane a casa. Che tempi!

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  3. Purtroppo l’alcol è una droga che si insinua viscida nella mente umana fino a distruggere anche persone di buon carattere, fino a farli diventare sconosciuti a chi li ha accanto. Il male è che al giorno d’oggi l’alcolismo è una piaga anche tra i giovani . Non si rendono conto del male che si fanno. Buona serata.

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  4. una persona alcolizzata vede i demoni, le ombre e se non si prova a recuperarlo in tempo può diventare pericoloso come nel racconto che hai scritto con grande maestria. Probabilmente un ricordo di molti anni fa.

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  5. Pazzesco come i tasselli combacino per un racconto letto per caso, folle come tutto torni : ma tu sei ormai ” perdutamente” adulta, ed il cuore non è mai cresciuto e sta ancora aspettando un bacio sulla fronte su quel maledetto treno :Castellammare di Stabia- Roma .Ero andata in colonia e, tornata dopo un mese a Roma, mi aspettavo che mio padre mi baciasse o mi abbracciasse come vedevo fare agli altri padri. Il mio no, mi consegnò una busta di caramelle. Non era alcoolizzato, era anaffettivo ed ancora oggi mi pongo la domanda di quale sia la malattia più pericolosa. A mia madre suggeriva di non prenderci in braccio: pugno di ferro in guanto di velluto.

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  6. Un demone terribile, difficile da sconfiggere. Quando eravamo piccoli avevamo un vicino che si ubriacava e spesso mio padre e gli altri vicini accorrevano alle grida della moglie, perchè la voleva picchiare. Che tristezza! E pensare che da sobrio era l’uomo più dolce e divertente del quartiere.
    A volte non serve leggere, la vita stessa è un libro.
    Smpre belli e reali i tuoi racconti.

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  7. Lo sai che non ci avevo mai pensato…infatti mio padre fu ammesso alla tavola comune a sei anni, quando aveva imparato a sbucciare la frutta con coltello e forchetta. Altrimenti mangiava con le persone di servizio. Lo sai che non ho mai pensato ad una cosa del genere. Ti ringrazio tanto : ecco a cosa serve scrivere.

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  8. La storia terribile, angosciante, è narrata con estrema dolcezza dalla moglie, con un sereno senso di ineluttabilità, che tanto contrasta con il racconto stesso. La tua trascrizione della vicenda è stata di grande delicatezza. Non ci sono parole per complimentarmi con te 🌹

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  9. Terribile cosa l’alcol. E i giovani non si rendono conto di quanto possa far male. Bello quello che hai scritto, sei riuscita ad evidenziare molto bene ciò che comporta bere, e come si può finire. Peccato non ci sia sufficiente informazione a riguardo. Un abbraccio. Isabella

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