La tata

Bimba in campo di papaveri

Sono una studentessa che nel tempo libero fa la tata.

L’incontro con la bambina che mi è stata affidata, avviene al parco. E’ accompagnata dal nonno che presto si allontana.

Dal suo volto immobile non riesco a cogliere le emozioni e nel salutarla tento dolcemente di toglierle gli occhiali scuri per osservarne lo sguardo, ma non ne ho il tempo: si sfila gli occhiali, li getta nella siepe, mi fissa con sguardo di sfida, le labbra sono strette come una fessura, fugge correndo di qua e di la, sotto lo sguardo divertito dei presenti.

Il cancello del parco per fortuna è chiuso e non corre pericoli.  Quando finalmente stanca si ferma, la osservo, ha bellissimi occhi chiari e profondi, difficili da comprendere perché guardano nel vuoto, indifferenti, impenetrabili.

Cerco di darle la mano ma lei rifiuta ricambiandomi con un veloce calcio alle gambe. Non reagisco e non voglio neppure metterle quella specie di guinzaglio consegnatemi dal nonno. Non è così piccola da non poter ascoltare , ma c’è qualcosa che mi mette angoscia, l’ ansia di non saper capire.

Non so come comportarmi, provo con l’indifferenza, mi avvio verso il cancello per lasciare il parco e come per incanto mi raggiunge e mi prende la mano.

Passeggiamo in silenzio lungo un campo di grano maturo con tante spighe dorate che luccicano al sole, con papaveri rossi, fiordalisi blu, con le viole colorate e i piccoli non ti scordar di me.

Ci fermiamo incantate di fronte a tanta meraviglia, dolcemente le suggerisco di ascoltare il canto dell’usignolo ma lei di scatto inizia a strappare i fiori, li butta a terra e li pesta con rabbia e sfida, poi mi guarda ed ecco riaffiorare lo sguardo indifferente, lontano.

Sono impotente, non sono in grado di interagire con una bambina non solo difficile, come mi era stato detto, ho di fronte una bimba “speciale”.

Nel tragitto verso casa passiamo davanti al laboratorio di pasticceria da dove proviene un buon profumo di biscotti. La bimba si blocca, sembra incantata, è immobile e io non riesco a distrarla. Decido di aspettare, passano molti minuti quando improvvisamente sembra risvegliarsi e si precipita nel laboratorio dove la conoscono e le regalano il suo dolce preferito. Ora è calma, ride felice e me lo offre.

Riprendiamo la strada verso casa e mentre stiamo percorrendo il viale alberato di ippocastani si blocca nuovamente, urla, trema, ha tanta paura. Un animale immaginario la vuole rapire. La prendo in braccio, l’avvolgo nel giaccone e raggiungiamo la casa e i rassicuranti genitori, consapevoli della patologia della loro piccola.

Voglio rinunciare al lavoro, ma loro mi pregano di aiutarli ancora e insieme decidiamo di portarla all’asilo.

Entro con lei nel grande salone dove ci sono tanti bimbi già seduti su minuscole sedie intenti a fare disegni che la maestra suggerisce loro raccontando una fiaba.

La nostra presenza li distrae e in un attimo tutto l’ambiente acquista vivacità.

La bambina li osserva immobile, chiedo il permesso alla maestra di potermi sedere accanto a lei in una di quelle seggioline.

Il tavolino davanti a noi è colmo di fogli da disegno, matite colorate, pennarelli che a lei non interessano.

Scoppia a piangere, non so come consolarla, le mostro il mio orologio e glielo metto al polso con la promessa che quando le lancette saranno sul dodici andremo dalla mamma.

Si siede, non disegna, ma almeno è occupata ad osservare lo spostamento delle lancette.

Anche per me, che sono seduta in quella posizione scomoda, il tempo non passa più. Ogni cinque minuti esatti si alza con uno scatto, mi osserva di sfuggita per accertarsi che io sia sempre li, ma non mi guarda mai fissa negli occhi. Giunta l’ora usciamo dall’asilo, non mi da la mano, ma mi segue rassicurata.

In casa c’è un pianoforte elettrico, un regalo dei nonni, la siedo sullo sgabello e le inizio a suonare una melodia che le piace molto. Vuole suonare da sola, mi sembra un miracolo! Sorride e parla con un suo amico invisibile, mi allontana e lo invita a sedersi al mio posto.

Con il tempo impariamo a conoscerci , capisco che è di animo buono: mi abbraccia dolcemente come fa con il suo bambolotto e mi imbocca con briciole della sua merenda. Lascia le briciole anche accanto alla fontana e chiama i passeri per imbeccarli, lancia le  nocciole sgusciate allo scoiattolo perché ricorda che in passato lo avevamo visto da quelle parti.

Un giorno, nell’impossibilità di uscire per un imminente temporale, saliamo in soffitta. Là c’è una vecchia calcolatrice, un gioco che la diverte molto: batte sui tasti convulsamente, gira con frenesia la manovella che serve per far fuoriuscire il rotolo di carta che felice poi strappa a pezzettini.

Rimane a giocare per parecchio tempo tranquilla quando, improvvisamente, scavalca il cancelletto e cade lungo scala a chiocciola.

Non si fa male ma è la goccia che fa traboccare il vaso: è ora di ritornare ai miei studi e prego la famiglia di cercare un’altra tata competente perché la bambina, buona e sensibile, necessita, secondo me, di un’ assistenza migliore.

Ringrazio per aver avuto l’opportunità di vivere questa esperienza che mi ha fatto capire cosa voglio fare da grande. Ho cambiato il percorso dei miei studi e ho deciso di dedicarmi alle persone e alle famiglie in difficoltà per poter dar loro un aiuto professionale.

A volte non basta agire solo con il cuore.

Cara bimba ti ricorderò per sempre!

non-ti-scordar-di-me

Immagini del web
*foto bimba in un campo di papaveri ©ansa
http://www.ansa.it/web/notizie/photogallery/primopiano/2013/06/09/Bimba-coglie-fiordalisi-un-campo-papaveri-Germania_8843404.html

Campo di non ti scorda di me
http://www.marcheinfesta.it/evento/20605/non-ti-scordar-di-me.html

 

66 pensieri riguardo “La tata

  1. Una bimba, così come la descrivi, ha bisogno non di una tata qualsiasi ma di una tata “specializzata” con i requisiti adatti a poterla seguire. Comunque la studentessa ha dimostrato ottime qualità, come la pazienza, adattamento alle situazioni senza perdere la calma. Complimenti.

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  2. Sono percorsi difficili, dolorosi, ma anche costruttivi. Personalmente ho avuto tre esperienze “difficili” durante gli studi, quando mi venvano affidati bambini per il tirocinio. Li porto nel cuore, tutti e tre, Andrea era autistico, ma “ai miei tempi” si ignorava proprio questo problema, avevo fatto breccia nel suo mondo, i genitori mi chiesero di andare da loro come baby-sitter, ma mi rendevo conto che ci voleva qualcuno di più competente, oggi penso di aver sbagliato; Andrea aveva problemi comportamentali, ho preso morsi, calci, ma alla fine abbiamo vissuto un bel periodo, stranamente, per coincidenza, ho rincontrato suo fratello, dopo ben 35 anni, ora Andrea (che ne ha 43) è in un istituto, la mamma è molto anziana e nessuno dei fratelli è stato in grado di sostenerlo, mi dispiace tanto, se penso ai suoi grandi occhi azzurri sempre persi nel vuoto e il suo bel volto magro, proprio di chi sembra soffrire; Giulio aveva problemi fisici, la poliomelite lo aveva inchiodato alla sedia a rotelle, l’ho amato tantissimo e lui me, la sua dolcezza era immensa, conservo ancora il suo disegno: una ragazza dalla lunga treccia con un grande cuore nel petto.

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